martedì 17 novembre 2009

Archeologia Rupestre della Sicilia sudorientale


Il paesaggio della Sicilia sud-orientale è in gran parte caratterizzato dai Monti Iblei e dalle cave iblee, canyons che solcano gli altopiani nelle cui profondità scorrono fiumi un tempo navigabili. Oggi, seguendo abili guide escursionistiche si possono seguire i loro letti, a piedi e a tratti anche a nuoto!




La bianca pietra calcarea affiora tra la vegetazione e rende il paesaggio tagliente, “duro”, da mozzafiato.
Spostandosi da una località all’altra fra gli altopiani iblei, capita spesso di vedere in lontananza le pareti rocciose delle cave bucherellate come alveari di pietra, e subito viene da dire ad alta voce: “Guarda là!!Ma che cosa sono??” Le tombe a grotticella dell’età del Bronzo sono fra le testimonianze archeologiche più sorprendenti che proiettano il visitatore nella protostoria, in un’atmosfera che in pochi altri luoghi d’Italia è possibile ritrovare.
L’antichissima tradizione di abitare e seppellire in grotta è legata sia alle caratteristiche geologiche di questo territorio sia alla necessità di difendersi dagli assalti degli animali selvatici e da aggressioni nemiche. Le grotte naturali e artificiali sono state abitate e riutilizzate nei millenni fino ai tempi moderni e contemporanei con scopi diversi, attraverso un duro lavoro di scavo e di adattamento.
Molti siti rupestri, specialmente quelli sotterranei, in epoca greco-romana furono utilizzati per pratiche religiose, in particolare per il culto delle acque e delle sorgenti.
Dopo la caduta dell’impero romano, si ritorna a vivere in grotta, si costruiscono nuovi insediamenti, si allargarono e si riadattarono quelli esistenti, sorsero dei veri e propri agglomerati rupestri che poi nel periodo arabo si chiameranno casali e prenderanno il nome delle famiglie che vi abitarono. Molti di questi casali conservano nei loro nomi l’etimologica araba, segno che furono abitate da intere famiglie per lunghi periodi. Il villaggio-casale di Mendola o Mende (a pochi chilometri dall’attuale Palazzolo) fu chiamato Rahalbaranis; Rahalbalata i Ddieri di Bauly etc.
L’abitare in grotta non fu una prerogativa solo delle popolazioni colpite da calamità naturali, dalle conseguenze delle occupazioni straniere o dalle guerre, ben presto ad esse s’affiancarono i monaci che cercavano l’ isolamento. Molti di questi erano d’origine orientale, istituirono numerosi cenobi con regole e vita comunitaria o eremi, conducendo un’esistenza solitaria in grotte e allestendo luoghi di culto, spesso adattando ambienti rupestri precedenti, comprese tombe e pozzi d’acqua. Scavarono imponenti complessi monastici di dimensioni anche notevoli (vedi San Pietro in Buscemi, San Marco, Santa Lucia di Mendola etc.), distruggendo molte volte le catacombe del periodo precedente paleocristiano. Le chiese rupestri furono affrescate con immagini di vita quotidiana, di Santi, della Madonna e del Cristo. Attorno a questi centri monastici, si sviluppò una notevole attività religiosa che attirò fedeli dai villaggi vicini. I monasteri divennero quindi un punto di riferimento per la popolazione, sia ai fini alimentari, culturali, religiosi e di difesa comune.
Con Federico II di Svevia, e il conseguente periodo di parziale tranquillità e pace, quasi tutta la popolazione ritorna a vivere le città, sicuramente grazie all’opera di costruzione e ricostruzione voluta da Federico II. Fu una rinascita dell’intelletto e della genialità, un richiamo verso il miglioramento di tutte le attività umane
Le abitazioni rupestri furono gradualmente abbandonata, così come i centri collinari isolati e difficilmente raggiungibili. Rimasero solo i religiosi e nelle vicinanze pochi nuclei famigliari dediti alla pastorizia e all’agricoltura, che continuarono a vivere in grotta fino ad età moderna, in alcuni paesi del siracusano e del ragusano fino al 1950.
Poi, motivazioni diverse portarono alla chiusura dei monasteri, e molti ordini monastici si trasferirono nelle città e nei paesi vicini in fase di ricostruzione, sperduti nelle montagne degli Iblei. La diminuzione delle vocazioni alla dura vita monastica portò alla chiusura anche degli eremi. Tutto tornò nell’abbandono e ben presto l’incuria dell’uomo unita agli agenti atmosferici, causarono la scomparsa dei siti rupestri, alcuni dei quali oggi si conservano solo nella toponomastica.
Negli anni ‘50 la riforma agraria del dopo guerra ha causato la fine di una civiltà unica nel suo genere in Italia durata oltre 5.000 anni: l’abitare in grotta. Scompaiono, inghiottiti dall’ignoranza umana e dalla mancata tutela delle istituzioni: borghi, abbeveratoi, cisterne d’acqua, torri d’avvistamento, monumenti, abitazioni. La sorte più inesorabile la subiscono le chiese sparse fra i Monti Iblei, nel siracusano e ragusano Le chiese e le catacombe vengono adibite a stalle oppure inglobate all’interno delle masserie e utilizzate come deposito di masserizie. Si distruggono gli affreschi nelle pareti, gli altari smantellati e riutilizzati come pietre di riempimento. Anonimi contadini, ormai divenuti proprietari con la riforma agraria, per la maggior parte ignari dello scempio che stavano apportando, distruggono tutto e trasformano le “sacre pietre” in muri a secco al fine di delimitare le loro proprietà

Nonostante le innumerevoli e definitive perdite di questo patrimonio, ancora nulla è perduto del tutto, perché sono ancora numerosi i siti che si possono visitare e salvaguardare, basterebbe citarne uno per tutti, la meravigliosa necropoli di Pantalica!








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